Durante la settimana che ci porta alla fine di quest’anno molto particolare, abbiamo deciso di proporre un film recente. Una trama semplice, ma dal significato davvero profondo: sto pensando di finirla qui, di Charlie Kaufman. Un thriller dalle forti connotazioni psicologiche, un road movie nell’abisso della coscienza, distribuito direttamente in streaming su Netflix.

Sto pensando di finirla qui: trama e recensione
Si tratta dell’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Ian Reid, e vede protagonisti una donna identificata di volta in volta con nomi diversi (Jessie Buckley) e Jake (Jesse Plemons) impegnati a raggiungere una fattoria isolata, dove vivono i vecchi genitori di lui, durante una forte nevicata.
Si conoscono da poco, 6 settimane, quanto basta per far nascere nella giovane donna il bisogno di lasciarlo. L’occasione del viaggio assume le sembianze di un road movie, mentre nella parte centrale la visita ai genitori prende dei connotati grotteschi, quasi horror, nell’imbarazzo dei ricordi e la malattia. Poi la coppia riparte per un gelido viaggio verso casa, che culmina con una deviazione al liceo di Jake.
Nel frattempo, la narrazione principale è intervallata a quella di un anziano bidello che lavora in una scuola superiore e che medita anch’esso di farla finita: nella parte finale del film il suo incontro con la coppia culminerà in un climax surreale.
Questo film Netflix segna il ritorno del geniale regista e sceneggiatore statunitense, che dietro la macchina da presa ci ha regalato capolavori come Anomalisa, ma che ha anche toccato altissime vette come sceneggiatore di Essere John Malkovich e Se mi lasci ti cancello (Eternal Sunshine of the Spotless Mind).
Te lo consiglio perché
Sto pensando di finirla qui, a dispetto della possibilità di contenere la trama in una sola frase, è un film di rara complessità. Proprio come una matrioska, contiene tutto, in un gioco di livelli che si sovrappongono, si intersecano (come spesso accade nei film del regista). Pur attingendola da un romanzo, Kaufman contorce, strizza la materia trattata, ne esalta la natura introspettiva e se ne impossessa, intarsiando il suo racconto di elementi, particolari, dettagli, false piste, esche, indizi e riferimenti che richiedono una particolare attenzione da parte dello spettatore: questo per cercare di comprendere il senso e non rimanere perplessi al termine della visione.
Non è necessario comprendere ogni riferimento per cogliere l’aspetto del film, o anche solo apprezzarne l’intento, ma questi percorsi intellettuali arricchiscono la natura dell’enigma e premiano le visualizzazioni ripetute.
Quello che inizialmente sembra un film sul disagio esistenziale della giovane ragazza, si rivelerà alla fine essere un film sul disagio mentale di Jake, il vecchio bidello che in un turbinoso e febbricitante flusso di coscienza ripensa a tutte le opportunità perse, i bivi e le persone significative della propria esistenza. Il rapporto ostile con i genitori, gli studi abbandonati, le ambizioni mai concretizzate e gli amori solo immaginati compongono infatti un esercito di fantasmi che infestano la vuota esistenza di un vecchio cui rimangono solo un lavoro umile, la solitudine, il rimpianto e il pensiero di porre fine a tutto questo.
Alle persone piace pensare di essere come punti che si muovono attraverso il tempo. Ma io credo che probabilmente sia il contrario. Noi siamo fermi e il tempo passa attraverso di noi soffiando come il vento freddo, rubandoci il nostro calore, lasciandoci screpolati e congelati.
La giovane donna