Nel sesto capitolo della raccolta “American Recordings” di Jhonny Cash, “American VI: Ain’t No Grave”, emergono queste qualità: calmo, consapevole e preparato. Uscito nel 2010, in concomitanza con il settantesimo compleanno del celebre cantautore americano, Cash.
Le tracce di “American VI” sembrano provenire dalle stesse sessioni dell’album precedente. Tuttavia, non vanno valutate solamente per la loro composizione musicale, ma anche per il messaggio che portano.
Ogni canzone, infatti, sembra essere stata selezionata per rappresentare un pensiero rilevante negli ultimi anni di vita di Cash. Le parole utilizzate sembrano essere prese in prestito per esprimere i propri stati d’animo, trasformandosi in una sorta di testamento, di ultima conversazione, di lettere aperte attraverso le quali condividere i sentimenti in un momento difficile della propria esistenza, affrontando direttamente la morte.
Le tracce dell’album American VI: Ain’t No Grave di Jhonny Cash
La determinazione (“ain’t no grave/ that hold my body down”), la speranza e la fede (“there is a train that’s heading/ straight to heaven’s gate”), la tranquilla accettazione del destino (“I’ll leave this world/ with a satisfied mind”), l’abbandono dei peccati e delle sofferenze terrene (“and it’s wonderful now/ I don’t hurt anymore”) e l’ultimo saluto di chi crede che la morte non sia la fine (“one fond embrace/ before I now depart / until we meet again”).
L’emozione che scaturisce dall’ascolto di queste parole cantate dalla voce di Johnny Cash fa dimenticare il fatto che le canzoni di “American VI” potrebbero non essere considerate il meglio pubblicato dall’artista durante la sua collaborazione con Rick Rubin.
Nonostante non raggiunga lo stesso livello di altri lavori, questo album presenta comunque brani di valore assoluto; dall’incisivo folk-blues di “Ain’t No Grave”, all’orchestrazione sobria ma potente della bellissima “Redemption Day” (firmata da Sheryl Crow), alla delicatezza romantica di “For The Good Times” di Kris Kristofferson, alla rinnovata bellezza del country puro di “I Don’t Hurt Anymore”, o alla timida luminosità di “Can’t Help But Wonder Where I’m Bound”. Questi episodi ci regalano ancora una volta il grande Johnny Cash.
In conclusione, se il signor Rubin volesse evitare ulteriori sfruttamenti postumi ripetuti, “American VI: Ain’t No Grave” doveva essere l’ultimo atto di un artista straordinario, creato con quella sincerità e sobrietà interpretativa che hanno reso Johnny Cash una delle figure più belle e autentiche nella musica degli ultimi anni.
I have been around this land/ just doing the best I can.
Buon ascolto!